Della grande triade è lui il più grande. Il suo amico Hegel è un
maestro del marketing: all'età di 37 anni comincia a
ripetersi e riesce così a risultare comprensibile anche per teste
dallo spessore di un Kuno Fischer. Schelling, invece, sempre
elegante, sempre brillante, sempre in divenire… e mai con un allievo. Sarebbero da prendere i due pensatori come modelli di
esistenza filosofica? Sclerare presto e aver successo, oppure
infischiarsene e continuare a fare e disfare ignorato dai più?
Resta il terzo, quello di Hölderlin: stare al di sopra delle facoltà
umane e uscire di senno. Come dire? Non fa per tutti.
Hölderlin è poeta e filosofo e non credo fosse necessario ritrovare
(nel 1961) alcuni frammenti giovanili per rendersi conto di questa
duplice natura dello scrittore. Se n'è accorto Heidegger.
Una delle ultime poesie scritte prima di essere portato in manicomio,
Mnemosyne, comincia con il verso
Reif sind, in Feuer getaucht, gekochet / Die Frücht
Maturi sono, immersi nel fuoco, cotti / I frutti.
Un filosofo a sentir
parlare di fuoco, in cui qualcosa si immerge, subito si ricorderà
degli stoici. Un attento lettore di poesie noterà il peso del in
Feuer getaucht
con il duplice dittongo (uno anteriore ed uno posteriore) e la
lunghezza di questa parte centrale del primo verso. Un traduttore
italiano non è né l'uno né l'altro e rende il tutto con: “Maturi
sono i frutti / tuffati nel fuoco, cotti (...)”1.
Questa, come ci spiega la quarta di copertina, è una “vera
versione poetica” che ha in comune con l'originale soltanto il
significato delle parole e neanche questo sempre. L'en
passant di
“tuffati” non corrisponde alla cerimoniosità di getaucht.
E se l'autore non traduce in modo plausibile le parti chiare e
semplici, che cosa aspettarsi laddove affronta dei versi oscuri?
Nämlich unrecht, / Wie Rosse, gehn die gefangenen / Element und alten / Gesetze der Erde
Infatti/cioè in modo ingiusto / come i cavalli, vanno i catturati / elementi e le antiche /
leggi della terra.
Difficili questi versi, certo. Gefangene Elemente riprende un
topos stoico. Il legame tra gli elementi è destinato a sciogliersi.
Sarà questo uno degli argomenti della poesia che infatti rappresenta
un processo drammatico. Il traduttore italiano scrive: “(.. i
sentieri.) Scartano / come cavalli gli elementi prigionieri, / le
vecchie leggi della terra”. In questo pasticcio mi limito a far
notare una cosa: il nämlich è sparito! È l'unica parola dei
versi citati che non viene proprio tradotta.
Tale destino si abbatte sulla povera parola quasi tutte le volte in
cui appare, cosa che avviene abbastanza di frequente nella poesia
tarda di Hölderlin. Una volta è tradotta come “veramente”, per
altre tre volte con “davvero”.
Proprio strambo è poi il titolo: Sonst
nämlich Vater Zeus... e il traduttore scrive questo: “Davvero
un tempo Zeus padre ...”. Perché abbia scelto “davvero” non è
chiaro. Nämlich in italiano il Pons online lo traduce
come: “cioè, vale a dire, poiché,
infatti”. Allora, dove sta il problema? Traduciamo con “Cioè
una volta, padre Zeus ...” – ma questo non è possibile, perché
la lingua d'arrivo è l'italiano, nel reparto poesie, dove una cosa
come “cioè” è sconosciuta. Cioè,
per un oscuro motivo, non bisogna scrivere come parla una
tredicenne sull'autobus. Ovvero noi ci stiamo movendo in un
linguaggio settoriale e il motivo per cui non riusciamo a tradurre
questo nämlich è lo stesso per cui Der Wanderer und sein
Schatten in italiano non è “Il camminatore”, bensì “Il
viandante e la sua ombra”.
Ma che cosa perderemmo se
semplicemente ignorassimo il nämlich?
Per giudicarne l'importanza, più indicativo del significato è
vedere che cosa la parola fa. È esplicativa, si dice. Qui ad esempio
"cioè" sarebbe da tradurre con nämlich:
“Siamo
in tre, cioè me, Luca e Tom”. Raramente anche “infatti”: “Mi
hanno bocciato, infatti avevo dei pessimi voti.” Il seguente
esempio è di Hegel: Sie
ziehen auf ihren Boden eine Menge Material, nämlich das schon
Bekannte und Geordnete, herein,: “Tirano
dentro il loro territorio parecchio materiale, cioè quello già
conosciuto e ordinato”. Qual è la funzione del “cioè”2
qui? Prima l'autore nomina una realtà e poi, dopo la congiunzione,
ne presenta gli elementi costitutivi. Ciò che prima sapeva solo lui
e che teneva ancora nascosto, viene svelato. Ora anche a noi è dato
sapere. È questa la funzione del nämlich:
annuncia che l'autore sta per rendere in parole ciò che il lettore
ancora ignora. Il nämlich
sancisce
un dislivello tra colui che legge e colui che scrive. Hölderlin
utilizza questa parola anche in due titoli di poesie, ovvero,
partendo dal nulla; non ha paura neanche di Zeus, al quale si rivolge
con qualcosa come “Cioè (io lo so e te lo dico io, perchè fino
adesso tu l'ignoravi) una volta, padre Zeus ..”.
Colui che scrive quindi è uno che sa. Dal 1801 Hölderin utilizza
frequentemente il nämlich. Il poeta filosofo? Sì, ma non è
all'interno delle sue poesie che sta a ragionare. A queste, sebbene
siano filosofiche per le immagini e il movimento, è “impossibile
rispondere”, come scrive Kassner a proposito dell'Essay. Il
filosofo poeta non si espone a una discorsività che potrebbe essere
logorante. È il poeta vate. Con nämlich Hölderlin ha
trovato il modo per esprimere questa sua pretesa. Cioè, una parolina del
tedesco quotidiano e colloquiale.
1Friedrich
Hölderlin: Le liriche, a cura di Enzo Madruzzato, Milano (Adelphi)
1977, p. 694
2
anche “ovvero” sarebbe possibile, ma è leggermente diverso