Sonntag, 5. Mai 2013

Hölderlin e il cioè


Della grande triade è lui il più grande. Il suo amico Hegel è un maestro del marketing: all'età di 37 anni comincia a ripetersi e riesce così a risultare comprensibile anche per teste dallo spessore di un Kuno Fischer. Schelling, invece, sempre elegante, sempre brillante, sempre in divenire… e mai con un allievo. Sarebbero da prendere i due pensatori come modelli di esistenza filosofica? Sclerare presto e aver successo, oppure infischiarsene e continuare a fare e disfare ignorato dai più?
Resta il terzo, quello di Hölderlin: stare al di sopra delle facoltà umane e uscire di senno. Come dire? Non fa per tutti.

Hölderlin è poeta e filosofo e non credo fosse necessario ritrovare (nel 1961) alcuni frammenti giovanili per rendersi conto di questa duplice natura dello scrittore. Se n'è accorto Heidegger.

Una delle ultime poesie scritte prima di essere portato in manicomio, Mnemosyne, comincia con il verso
Reif sind, in Feuer getaucht, gekochet / Die Frücht
Maturi sono, immersi nel fuoco, cotti /  I frutti.

Un filosofo a sentir parlare di fuoco, in cui qualcosa si immerge, subito si ricorderà degli stoici. Un attento lettore di poesie noterà il peso del in Feuer getaucht con il duplice dittongo (uno anteriore ed uno posteriore) e la lunghezza di questa parte centrale del primo verso. Un traduttore italiano non è né l'uno né l'altro e rende il tutto con: “Maturi sono i frutti / tuffati nel fuoco, cotti (...)”1. Questa, come ci spiega la quarta di copertina, è una “vera versione poetica” che ha in comune con l'originale soltanto il significato delle parole e neanche questo sempre. L'en passant di “tuffati” non corrisponde alla cerimoniosità di getaucht. E se l'autore non traduce in modo plausibile le parti chiare e semplici, che cosa aspettarsi laddove affronta dei versi oscuri?

Nämlich unrecht, / Wie Rosse, gehn die gefangenen / Element und alten / Gesetze der Erde
Infatti/cioè in modo ingiusto / come i cavalli, vanno i catturati / elementi e le antiche /
leggi della terra.

Difficili questi versi, certo. Gefangene Elemente riprende un topos stoico. Il legame tra gli elementi è destinato a sciogliersi. Sarà questo uno degli argomenti della poesia che infatti rappresenta un processo drammatico. Il traduttore italiano scrive: “(.. i sentieri.) Scartano / come cavalli gli elementi prigionieri, / le vecchie leggi della terra”. In questo pasticcio mi limito a far notare una cosa: il nämlich è sparito! È l'unica parola dei versi citati che non viene proprio tradotta.

Tale destino si abbatte sulla povera parola quasi tutte le volte in cui appare, cosa che avviene abbastanza di frequente nella poesia tarda di Hölderlin. Una volta è tradotta come “veramente”, per altre tre volte con “davvero”.

Proprio strambo è poi il titolo: Sonst nämlich Vater Zeus... e il traduttore scrive questo: “Davvero un tempo Zeus padre ...”. Perché abbia scelto “davvero” non è chiaro. Nämlich in italiano il Pons online lo traduce come: “cioè, vale a dire, poiché, infatti”. Allora, dove sta il problema? Traduciamo con “Cioè una volta, padre Zeus ...” – ma questo non è possibile, perché la lingua d'arrivo è l'italiano, nel reparto poesie, dove una cosa come “cioè” è sconosciuta. Cioè, per un oscuro motivo, non bisogna scrivere come parla una tredicenne sull'autobus. Ovvero noi ci stiamo movendo in un linguaggio settoriale e il motivo per cui non riusciamo a tradurre questo nämlich è lo stesso per cui Der Wanderer und sein Schatten in italiano non è “Il camminatore”, bensì “Il viandante e la sua ombra”.

Ma che cosa perderemmo se semplicemente ignorassimo il nämlich? Per giudicarne l'importanza, più indicativo del significato è vedere che cosa la parola fa. È esplicativa, si dice. Qui ad esempio "cioè" sarebbe da tradurre con nämlich: “Siamo in tre, cioè me, Luca e Tom”. Raramente anche “infatti”: “Mi hanno bocciato, infatti avevo dei pessimi voti.” Il seguente esempio è di Hegel: Sie ziehen auf ihren Boden eine Menge Material, nämlich das schon Bekannte und Geordnete, herein,: “Tirano dentro il loro territorio parecchio materiale, cioè quello già conosciuto e ordinato”. Qual è la funzione del “cioè”2 qui? Prima l'autore nomina una realtà e poi, dopo la congiunzione, ne presenta gli elementi costitutivi. Ciò che prima sapeva solo lui e che teneva ancora nascosto, viene svelato. Ora anche a noi è dato sapere. È questa la funzione del nämlich: annuncia che l'autore sta per rendere in parole ciò che il lettore ancora ignora. Il nämlich sancisce un dislivello tra colui che legge e colui che scrive. Hölderlin utilizza questa parola anche in due titoli di poesie, ovvero, partendo dal nulla; non ha paura neanche di Zeus, al quale si rivolge con qualcosa come “Cioè (io lo so e te lo dico io, perchè fino adesso tu l'ignoravi) una volta, padre Zeus ..”.

Colui che scrive quindi è uno che sa. Dal 1801 Hölderin utilizza frequentemente il nämlich. Il poeta filosofo? Sì, ma non è all'interno delle sue poesie che sta a ragionare. A queste, sebbene siano filosofiche per le immagini e il movimento, è “impossibile rispondere”, come scrive Kassner a proposito dell'Essay. Il filosofo poeta non si espone a una discorsività che potrebbe essere logorante. È il poeta vate. Con nämlich Hölderlin ha trovato il modo per esprimere questa sua pretesa. Cioè, una parolina del tedesco quotidiano e colloquiale.

1Friedrich Hölderlin: Le liriche, a cura di Enzo Madruzzato, Milano (Adelphi) 1977, p. 694
2 anche “ovvero” sarebbe possibile, ma è leggermente diverso