Montag, 10. Juni 2013

La “via sicura” di Immanuel Kant




La prefazione
Alla soglia dell'opera, prima che cominci per davvero, sui gradini, ci sono poste delle parole. Il lettore dalla realtà di fuori entra nel mondo del testo. Deve accettare quello che gli verrà offerto, deve fidarsi, affidarsi a colui che scrive. La lettura che seguirà sarà anche faticosa. Ne vale la pena?

Anche il trattato filosofico presuppone ciò che Coleridge chiama “suspension of disbelief”1. Dobbiamo seguire, parola per parola, le decisioni dellautore, sperando che alla fine sarà giustificata la nostra fiducia. Che il nesso interno sia poi di carattere deduttivo o induttivo, rapsodico o sistematico, si tratta soltanto di modi diversi per assolvere questo compito: farci entrare e poi proseguire. Non è una considerazione psicologica questa: si tratta della logica della promessa.


Leggere Kant in italiano
La prefazione alla seconda edizione alla Kritik der reinen Vernunft (1787) comincia con uno sparo secco e tonante, ma questo nella versione italiana è silenziato. Nella lingua del mi e del sì la prima frase inizia con la parola “se”:

<< Se l'elaborazione delle conoscenze, che appartengono al dominio della ragione, ...>>2

Fin qui restiamo in dubbio se questo “se” sia da intendersi come condizionale o come introduzione a una domanda indiretta. Nel primo caso la costruzione, per quanto inconsueta all'inizio di un testo, sarebbe abbastanza vicina all'uso quotidiano: “Se lo vedi, salutamelo”. Ma qui si tratta del secondo caso, come si evince dal congiuntivo della parola seguente: “segua o pur no”.

In tedesco, inutile dirlo, il “se” della domanda indiretta è un ob del tutto univoco.

Ob die Bearbeitung der Erkenntnisse, die zum Vernunftgeschäfte gehören, …

Anticipando la subordinata, così un filosofo esce dalla comunicazione quotidiana, fa comprendere sin dall'inizio che proporrà una cosa complicata, ovvero una questione che per il momento lascia in sospeso e che nel contempo è drammatica: all'ob si risponde con sì o no, non c'è via di mezzo. In questa frase al di fuori della domanda indiretta stessa non c'è nessun contatto con il mondo esterno, né con un soggetto che chiede. Non c'è né io, né lettore, e nessun mondo: solo questo interrogativo.

Aggiungiamo che Bearbeitung (la cosa resta, ma ci sto ancora lavorando sopra) non è Verarbeitung (uso una cosa per produrne un'altra) e che Geschäft non è dominio, bensì “affare” (e Kant ama le metafore tratte dal settore commerciale), la traduzione allora potrebbe anche essere:

<< Se, sì o no, la trattazione delle conoscenze, che appartengono all'ufficio/al lavoro/ alla competenza della ragione...>>

Un po' troppo spinto, questo esordio? È solo una possibilità. Non è poi che la traduzione citata sopra sia sbagliata. Fino alla seconda virgola è corretta. L'errore arriva dopo:

<< Se l'elaborazione delle conoscenze, che appartengono al dominio della ragione, segua o pur no la via sicura di una scienza.>>

Via” è una traduzione erronea della parola Gang che deve essere resa con “andamento” / ”andatura”3. La differenza è palese: la via me la trovo davanti, nel mondo esterno; l'andatura invece è mia e non dipende da altri elementi esterni. Kant in questa prefazione ripete la parola Gang sette volte. Difficile pensare che l'utilizzi a caso. Questa è la prima volta che l'adopera. Ha impiegato 40 anni per arrivarci.


Andare
Già dal suo primo libro, 1746, Kant si serve della metafora della via, dell'andare per la giusta strada, sempre in varianti diverse. Si tratta di un topos antico tra laltro. Già per Parmenide l'idea, l'immagine della via sembra di evidente utilità quando si tratta di descrivere ciò che fa un filosofo. Chissà perché. Forse soffriva ancora la concorrenza dei culti misterici che avevano tutti i loro “percorsi”? Potremmo anche rappresentare ciò che il pensatore fa come un ballo solitario o come lo stare seduti sotto un melo, aspettando che ci caschi in testa il frutto maturo della verità, oppure come un grufolare nell'anima. Invece sempre di vie si parla. In qualche modo, sostengono i filosofi, si “va”. E così anche Kant.

Se all'inizio Kant parla di un Fußsteig der philosophischen Betrachtung4, “cioè il sentiero della contemplazione filosofica” che il filosofo dovrebbe seguire senza curarsi delle richieste della società, questa via sembra ancora esterna al pensatore. Una cosa che c'è, occorre trovare e seguire la sua strada che lo distanzia dal mondo sociale e dall'Heerstraße, la strada che percorrono gli eserciti, quella della massa uniformata.

Ich habe mir die Bahn schon vorgezeichnet, die ich halten will. Ich werde meinen Lauf antreten und nichts soll mich hindern, ihn fortzusetzen.5

<< Ho già tratteggiato il mio percorso. Comincerò la mia corsa e nulla mi impedirà di proseguire in essa.>>
Sembra proprio che il coraggio non gli manchi. Non si fa intimorire neanche dalle nebbie e dai mostri, come spiega nella Allgemeinen Naturgeschichte und Theorie des Himmels del 1755:

Ich habe (…) eine eine gefährliche Reise gewagt, und erblicke schon die Vorgebürge neuer Länder.6

La strada è stata rischiosa.

Ein falscher Grundsatz, oder ein paar unüberlegte Verbindungssätze leiten den Menschen von dem Fußsteige der Wahrheit durch unmerkliche Abwege bis in den Abgrund.7

<< Un principio sbagliato o qualche frase di collegamento sconsiderata portano l'uomo dal sentiero della verità attraverso vie sbagliate nell'abisso.>>

Negli anni a seguire, Kant si renderà conto di stare già sempre su un abisso. Nel Beweisgrund del 1763 parla del bodenlosen Abgrund der Metaphysik, “l'abisso senza fondo della Metafisica”. Ein finsterer Ozean ohne Ufer und ohne Leuchttürme8, “un oceano buio senza riva e senza fari”. La filosofia diventa la Kunst zu schiffen, l'arte di navigare.

E il pensatore non arriva più in terre designate, questo perché non è più definito il punto di arrivo, e lunico aspetto che può controllare è soltanto il percorso, la via. Insomma, esiste la strada giusta, ma non è marcata dal di fuori. Dobbiamo averla in noi.

Arrivato a questo punto, il passo verso la prefazione alla seconda edizione della Kritik der reinen Vernunft sembra breve. Tuttavia, nella prima edizione il filosofo (1781) pare aver dimenticato tutti gli sviluppi dell'immagine dell'andare avanti.

Jetzt, nachdem alle Wege (...) vergeblich versucht sind (..) .9
<< Ora dopo che tutte le vie sono state provate invano(...) >>

Qui “via” non è usata come fosse unimmagine. È semplicemente un sinonimo di metodo, come apparirà anche dopo:

Diesen Weg, den einzigen, der übrig gelassen war, bin ich nun eingeschlagen10.
<< Questa via, l'unica rimasta, ora l'ho presa io. >>

Soltanto nella seconda prefazione Kant riprende una delle sue metafore preferite. Cerca il sicheren Gang. Tra l'altro trae in inganno questa volta: la via, in realtà, finirebbe con lui. Ma questa è un'altra storia.

La metafora del percorso segue uno sviluppo in Kant. Alla fine, quindi, quando sceglie la parola Gang (e ci sono dei buoni motivi per farlo) s'intende l'andamento o l'andatura, non un sentiero.

L'uomo di Königsberg sceglieva le parole con attenzione, tanto più perché si trovava in un'epoca di rapida evoluzione della sua lingua. Nel 1720 era uscita la “Metafisica tedesca” di Wolff, la prima grande opera di filosofia accademica in lingua tedesca, corredata di un glossario che presentava i termini in parte coniati dall'autore tradotti in latino corrente. Sessant'anni dopo è stata pubblicata la “Critica della ragion pura” in una lingua che ha preso forma anche grazie al lavoro di Kant. Filosofia tedesca e lingua tedesca sono cresciute insieme. 
 
1Coleridge, Samuel Taylor: The Collected Works, Princeton University Press. 1983, 236
2Critica della ragion pura, trad. da Vittorio Mathieu, Roma e Bari (Laterza) 2005
3Il dizionario proporrebbe anche “corridoio”, ma possiamo tranquillamente escludere questa possibilità.
4 GLK, AA01: 13. 2-5
5 GLK, AA01: 10.7-11
6 NTH, AA01: 221.18-222.4

7 NTH, AA01: 227.10-12; vgl. GLK AA01: 13.4

8 BDG AA02 65f.
9 KrV A X
10 KrV AXII