Conosciamo i filosofi poeti (Hölderlin),
cantanti (Nietzsche) e furbetti (Heidegger). Hegel è un teatrante.
Lo si vede già dalla prima frase della “Fenomenologia”.
“Eine Erklärung, wie sie einer Schrift in
einer Vorrede nach der Gewohnheit vorausgeschickt wird”: “una
dichiarazione, come di consuetudine precede il testo come prefazione”
… così comincia il testo di Hegel. La proposizione tuttavia non
viene subito completata: l'autore prima spiega per inciso che cosa
“di consuetudine” tale dichiarazione comprende
“Über den Zweck, den der Verfasser sich in
ihr vorgesetzt, sowie über die Veranlassungen und das Verhältnis,
worin er sie zu den andern frühern oder gleichzeitigen Behandlungen
desselben Gegenstandes zu stehen glaubt”: “sullo scopo che
l'autore si è prefisso così come sulle cause e sulle relazioni in
cui crede di trovarsi rispetto a trattazioni precedenti e
contemporanei dello stesso oggetto”.
Non sfugge la nota pedantesca nel “dello
stesso oggetto” come nell'enumerazione spensierata e allitterante:
“Veranlassungen” e “Verhältnis”, e neanche nel considerare
altre imprese simili, “sia precedenti sia attuali!” L'inserto
dovrebbe essere letto con un tono più alto, magari con dito alzato:
di citazione ironica si tratta. La voce dell'autore tace, ma solo per
tornare borbottante immediatamente dopo. “Tutto questo” decreta
“in uno scritto filosofico” sarebbe non solo “superfluo, ma
anche inadeguato e inopportuno”. Con una sequenza di tre aggettivi
ha spazzato via ciò che sarebbe la consuetudine: è una sciocchezza,
dice.
Il traduttore scompone questa prima frase, la
trasforma in due, proponendo una versione più leggibile, ma privo di
movimento scenico:
(1) “Nella prefazione a uno scritto, l'autore
fornisce in genere un'illustrazione ...”
(2) “Nel caso di uno scritto filosofico,
tuttavia, una tale illustrazione sembra non solo superflua ..”
“Tuttavia”: le parole scorrono componendo
passo dopo passo un ragionamento tranquillo. Come traduzione, è
perfetta. Solo che non è Hegel. Non è teatro.
Hegel è un drammatico.
“Die
Vernunft tritt auf”. È vero che potremmo prendere questo
“Auftreten” come metafora, come lo fa Goffman parlando dell'
“attore sociale”, di conseguenza potremmo tradurlo con “si
presenta”. Ma le metafore, nella “Fenomenologia dello Spirito”
specialmente, hanno un corpo, come fisica è la sofferenza dello
spirito in movimento. La ragione “entra in scena” (p. 151, 261),
non “emerge“ (349) . La via che percorre non è la “via sicura”
di Kant, non è “der für alle gleichgemachte Weg” (= la via
resa uguale per tutti), invece è “vielfach verschlungen”
(“tortuosa e tormentata”, 61). Solo in questo testo di Hegel le
parole rendono sensibile il tormento. La “Fenomologia dello
spirito” non è un romanzo, è il dramma della formazione.
Lo spirito
erra, si batte
a destra e sinistra
(“hin und her”), si estorce (“herausringen”) il nuovo, butta
via (“wegwerfen”) o stermina (“vertilgen”: come insetti, 278)
quel che non può accettare, ma fino alla fine resta insoddisfatto,
si apre le vene (“die Adern öffnen“, 346), poi di nuovo cerca
“Erfüllung“, ovvero realizzazione, soddisfazione, compimento
(anche riferito al godimento sessuale, per intenderci).
Traducendo in italiano possiamo anche far finta
di niente. Il movimento errante del “hin und her“ può essere
tradotto con un “va e viene” (p. 343), possiamo dire che lo
spirito “proietta fuori” (p. 334) tacendo lo sforzo del “ringen”
(lottare), possiamo scegliere “rinunciare” (765) al posto di
“buttar via” per “wegwerfen” e se per noi il concetto cerca
“riempimento” (p. 535), come se fosse un cornetto alla crema
anziché “soddisfazione”, nessuno può rimproverarci nulla. Si
tratta di traduzioni accettabili delle parole di Hegel. Ma non è
Hegel, non quello della “Fenomenologia”. In questo testo lo
spirito barcolla di crisi in crisi, esso non si raccapezza più (“ihm
vergeht Hören und Sehen“ è un modo di dire, non significa “ha
visto svanire nel passato l'udire ..”, p. 211).
Hegel scrive
in tedesco. Non sono passati neanche cent'anni dalle prime
pubblicazioni filosofiche in questa lingua del Baron Christian Wolff,
ma oramai la filosofia pensa tedesco. È forse con orgoglio che Hegel
spesso evita le parole di origine straniera? Georges-Arthur
Goldschmidt (“Quando Freud attendeva il verbo”) ha fatto notare
che nella prefazione alla “Fenomenologia dello spirito” non si
trova nemmeno una parola tecnica, ovvero non una parola che “un
bambino di cinque anni non potesse comprendere”. Hegel parla in
concreto. Questa pretesa di concretezza si esprime nella scelta di
termini molto comuni, vicini
agli oggetti della nostra vita di tutti i giorni e ai nostri
sentimenti più basilari. In tedesco disponiamo per quasi ogni
concetto di due tipi
di parole: per esempio per “anima” abbiamo un vocabolo di
derivazione germanica (“Seele”) e una o due di derivazione greca
o latina (“Psyche”, “Anima”), Hegel sceglie quella più
sentita, meno lontana: “Selbstständigkeit“ al posto di
“Autonomie”, non dice “Qualität”
bensì “Bestimmtheit” e l'”Objekt” lui lo chiama
“Gegenstand”. Ma l'orgoglio del pensare nell'idioma teutonico non
si accende solo al lessico: è la sintassi che rende la lingua dei
barbari atta a esprimere rapporti in modo molto elementare, plastico
e immediato insieme. Al “Selbstbewusstsein”: “es ist ihm, als
ob die Welt erst jetzt ihm würde“, letteralmente: “A
lui è come se il
mondo gli divenisse soltanto ora.” Come si rendono tali forme
mirabili del dativo in italiano? All'autocoscienza: “è come se il
mondo le si offrisse per la prima volta” (p. 335). Qui c'è una
presupposizione nascosta: Il mondo che “si offre” esiste già,
mentre la frase di Hegel fa a meno di questo assunto, rendendo più
drammatico il processo.
Tradurre Hegel
può significare rendere chiaro il pensiero, spiegare a un lettore
italiano che non ha avuto voglia di studiarsi la lingua di Kant e
Nietzsche che cosa abbia voluto dire il filosofo. Tradurre Hegel
forse significa rendere chiare le proposizioni, magari anche
suddividendo in sottocapitoli ciò che nel testo tedesco si presenta
come un flusso ininterrotto. In tutto questo, per dire:
didatticamente, il lavoro di Vincenzo
Cicero è insuperabile
Ma l'idea di
trasportare un pensiero lasciandosi dietro il suo corpo e i suoi
movimenti resta un'impresa strana innanzitutto per la
“Fenomenologia“,
un testo, non sappiamo ancora se
per influsso di
Schelling e Hölderlin
o per altro, certamente unico nella produzione di questo filosofo.
Forse
semplicemente tradurre Hegel non traduce Hegel.
Georg
Wilhelm Friedrich Hegel: Fenomenologia dello Spirito.
Trad. di Vincenzo Cicero. Milano (Bompiani) 2000/2013.