Mittwoch, 29. Oktober 2014

Non tradurre Hegel



Conosciamo i filosofi poeti (Hölderlin), cantanti (Nietzsche) e furbetti (Heidegger). Hegel è un teatrante. Lo si vede già dalla prima frase della “Fenomenologia”.

“Eine Erklärung, wie sie einer Schrift in einer Vorrede nach der Gewohnheit vorausgeschickt wird”: “una dichiarazione, come di consuetudine precede il testo come prefazione” … così comincia il testo di Hegel. La proposizione tuttavia non viene subito completata: l'autore prima spiega per inciso che cosa “di consuetudine” tale dichiarazione comprende

“Über den Zweck, den der Verfasser sich in ihr vorgesetzt, sowie über die Veranlassungen und das Verhältnis, worin er sie zu den andern frühern oder gleichzeitigen Behandlungen desselben Gegenstandes zu stehen glaubt”: “sullo scopo che l'autore si è prefisso così come sulle cause e sulle relazioni in cui crede di trovarsi rispetto a trattazioni precedenti e contemporanei dello stesso oggetto”.

Non sfugge la nota pedantesca nel “dello stesso oggetto” come nell'enumerazione spensierata e allitterante: “Veranlassungen” e “Verhältnis”, e neanche nel considerare altre imprese simili, “sia precedenti sia attuali!” L'inserto dovrebbe essere letto con un tono più alto, magari con dito alzato: di citazione ironica si tratta. La voce dell'autore tace, ma solo per tornare borbottante immediatamente dopo. “Tutto questo” decreta “in uno scritto filosofico” sarebbe non solo “superfluo, ma anche inadeguato e inopportuno”. Con una sequenza di tre aggettivi ha spazzato via ciò che sarebbe la consuetudine: è una sciocchezza, dice.

Il traduttore scompone questa prima frase, la trasforma in due, proponendo una versione più leggibile, ma privo di movimento scenico:
(1) “Nella prefazione a uno scritto, l'autore fornisce in genere un'illustrazione ...”
(2) “Nel caso di uno scritto filosofico, tuttavia, una tale illustrazione sembra non solo superflua ..”

“Tuttavia”: le parole scorrono componendo passo dopo passo un ragionamento tranquillo. Come traduzione, è perfetta. Solo che non è Hegel. Non è teatro.

Hegel è un drammatico.

Die Vernunft tritt auf”. È vero che potremmo prendere questo “Auftreten” come metafora, come lo fa Goffman parlando dell' “attore sociale”, di conseguenza potremmo tradurlo con “si presenta”. Ma le metafore, nella “Fenomenologia dello Spirito” specialmente, hanno un corpo, come fisica è la sofferenza dello spirito in movimento. La ragione “entra in scena” (p. 151, 261), non “emerge“ (349) . La via che percorre non è la “via sicura” di Kant, non è “der für alle gleichgemachte Weg” (= la via resa uguale per tutti), invece è “vielfach verschlungen” (“tortuosa e tormentata”, 61). Solo in questo testo di Hegel le parole rendono sensibile il tormento. La “Fenomologia dello spirito” non è un romanzo, è il dramma della formazione.

Lo spirito erra, si batte a destra e sinistra (“hin und her”), si estorce (“herausringen”) il nuovo, butta via (“wegwerfen”) o stermina (“vertilgen”: come insetti, 278) quel che non può accettare, ma fino alla fine resta insoddisfatto, si apre le vene (“die Adern öffnen“, 346), poi di nuovo cerca “Erfüllung“, ovvero realizzazione, soddisfazione, compimento (anche riferito al godimento sessuale, per intenderci).

Traducendo in italiano possiamo anche far finta di niente. Il movimento errante del “hin und her“ può essere tradotto con un “va e viene” (p. 343), possiamo dire che lo spirito “proietta fuori” (p. 334) tacendo lo sforzo del “ringen” (lottare), possiamo scegliere “rinunciare” (765) al posto di “buttar via” per “wegwerfen” e se per noi il concetto cerca “riempimento” (p. 535), come se fosse un cornetto alla crema anziché “soddisfazione”, nessuno può rimproverarci nulla. Si tratta di traduzioni accettabili delle parole di Hegel. Ma non è Hegel, non quello della “Fenomenologia”. In questo testo lo spirito barcolla di crisi in crisi, esso non si raccapezza più (“ihm vergeht Hören und Sehen“ è un modo di dire, non significa “ha visto svanire nel passato l'udire ..”, p. 211).

Hegel scrive in tedesco. Non sono passati neanche cent'anni dalle prime pubblicazioni filosofiche in questa lingua del Baron Christian Wolff, ma oramai la filosofia pensa tedesco. È forse con orgoglio che Hegel spesso evita le parole di origine straniera? Georges-Arthur Goldschmidt (“Quando Freud attendeva il verbo”) ha fatto notare che nella prefazione alla “Fenomenologia dello spirito” non si trova nemmeno una parola tecnica, ovvero non una parola che “un bambino di cinque anni non potesse comprendere”. Hegel parla in concreto. Questa pretesa di concretezza si esprime nella scelta di termini molto comuni, vicini agli oggetti della nostra vita di tutti i giorni e ai nostri sentimenti più basilari. In tedesco disponiamo per quasi ogni concetto di due tipi di parole: per esempio per “anima” abbiamo un vocabolo di derivazione germanica (“Seele”) e una o due di derivazione greca o latina (“Psyche”, “Anima”), Hegel sceglie quella più sentita, meno lontana: “Selbstständigkeit“ al posto di “Autonomie”, non dice “Qualität” bensì “Bestimmtheit” e l'”Objekt” lui lo chiama “Gegenstand”. Ma l'orgoglio del pensare nell'idioma teutonico non si accende solo al lessico: è la sintassi che rende la lingua dei barbari atta a esprimere rapporti in modo molto elementare, plastico e immediato insieme. Al “Selbstbewusstsein”: “es ist ihm, als ob die Welt erst jetzt ihm würde“, letteralmente: “A lui è come se il mondo gli divenisse soltanto ora.” Come si rendono tali forme mirabili del dativo in italiano? All'autocoscienza: “è come se il mondo le si offrisse per la prima volta” (p. 335). Qui c'è una presupposizione nascosta: Il mondo che “si offre” esiste già, mentre la frase di Hegel fa a meno di questo assunto, rendendo più drammatico il processo.

Tradurre Hegel può significare rendere chiaro il pensiero, spiegare a un lettore italiano che non ha avuto voglia di studiarsi la lingua di Kant e Nietzsche che cosa abbia voluto dire il filosofo. Tradurre Hegel forse significa rendere chiare le proposizioni, magari anche suddividendo in sottocapitoli ciò che nel testo tedesco si presenta come un flusso ininterrotto. In tutto questo, per dire: didatticamente, il lavoro di Vincenzo Cicero è insuperabile

Ma l'idea di trasportare un pensiero lasciandosi dietro il suo corpo e i suoi movimenti resta un'impresa strana innanzitutto per la “Fenomenologia“, un testo, non sappiamo ancora se per influsso di Schelling e Hölderlin o per altro, certamente unico nella produzione di questo filosofo.

Forse semplicemente tradurre Hegel non traduce Hegel.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel: Fenomenologia dello Spirito. Trad. di Vincenzo Cicero. Milano (Bompiani) 2000/2013.