Sonntag, 9. November 2014

Tra me e me: il Für sich nella “Logica” di Hegel

Il pensiero procede inarrestabile. I concetti emergono, sie ergeben sich, ed ecco il Fürsichsein: “Il concetto generale dell'essere per sé ci si è reso manifesto” (p. 162). Ma è giusta la parola? Hegel, a quanto pare, non si è inventato la parola, bensì l'ha trovata in giro: appunto Fürsichsein. Occorre mettere alla prova questo nome, dice.

L'importante sarebbe soltanto dimostrare che a quel concetto corrisponde la rappresentazione, che noi colleghiamo all'espressione essere per sé”. Quello che va dimostrato qui è che un elemento del linguaggio comune abbia una base concettuale, ossia un suo diritto d'esistere. Ma che cosa significa il Fürsichsein comunemente? In italiano poco o niente.

Il für sich, secondo il dizionario dei fratelli Grimm, sarebbe nato come il contrario di hinter sich: corrispondente al vor sich oggi potremmo sentirlo in espressioni come ich ging so vor mich hin = “stavo camminando davanti a me”, cioè senza guardare dietro (né a destra né a sinistra), meditando. Forse da lì deriva il significato del Fürsichsein di oggi? Il Duden dà il nome come sinonimo di Alleinsein, ovvero essere/stare da soli. In tante espressioni è utilizzato il für sich: er steht da ganz für sich (= “sta lì tutto solo”) oppure da kann ich endlich für mich sein (= “là posso stare finalmente solo / in pace”). È ovvio come da questo “stare per sé”, nella solitudine in cui non si contempla altro che se stessi, sorga la riflessione, l'autocoscienza. “Diciamo infatti che qualcosa è per sé, in quanto esso toglie l'esser altro, la sua relazione e la sua comunanza con altro” (p. 162) scrive Hegel collegando il suo pensiero ad un'espressione comune del tedesco parlato, mentre in italiano il ragionamento resta incomprensibile: l'“essere per sé” qui non è altro che un termine tecnico, vagamente metaforico.

L'entusiasmo del filosofo per la propria lingua non si ferma qui. Nella nota seguente il pensatore esalta una seconda caratteristica del tedesco. Per chiedere “Che cos'è/che tipo di cosa è qualcosa?” in tedesco si formula (all'incirca) “quale una cosa è questo?” was für ein Ding ist das?. Ciò evidenzierebbe “il momento della riflessione-in-sé”, scrive il filosofo e sarebbe “di origine idealistica”, ovvero esprimerebbe la verità che una cosa (o un uomo) non è tale per un'altra (altro), ma per se stessa (stesso). Arturo Moni, il traduttore della Laterza taglia (p. 165): "All'inizio di questa nota l'A. faceva una osservazione intorno a una particolare locuzione tedesca (...) Non essendo cotesta locuzione di alcun uso per gl' italiani che ignorano il tedesco, ho creduto di poterla sopprimere." Bene. Chissà se il resto è d' “uso per gl'italiani che ignorano il tedesco”.


Georg Wilhelm Friedrich Hegel: Logica, trad. da Arturo Moni e rev. da Claudia Cesa, Bari (Laterza) 1981, vol. I.

Dienstag, 4. November 2014

Hegel poeta


Die Knospe verschwindet in dem Hervorbrechen der Blüte, und man könnte sagen, dass jene von dieser widerlegt wird; ebenso wird durch die Frucht die Blüte für ein falsches Dasein der Pflanze erklärt, und als ihre Wahrheit tritt jene an die Stelle von dieser.

KnospeBlüte e FruchtBlüte: solo di superficie si tratta di un parallelismo con ripetizione. Ci troviamo di fronte a un chiasmo: prima (la gemma) – dopo (il fiore), dopo (il frutto) – prima (il fiore). Stabile nel cambiamento, in questo oscillare, si dà l'immagine del tutto.

Ma questo chiasmo non è l'unico motivo per cui questa frase ci fa effetto. Guardando anche le vocali – il tedesco mediamente non ne è ricchissimo – nella prima parte emergono: o – e – i – e – o, più precisamente: ɔ – ə ɪ e – oː, un gioco di simmetria finta. Seguono ö e due forme di i: ɪ, iː. Infine nel punto più drammatico della frase u – u – ü nella vicinanza die Frucht die Blüte si ode il cambiamento non solo con l'opposizione u/ü. Anche durch die Frucht nasconde un effetto sonoro: ur/ru, variazione minima. Di fronte a questa serie di mezzi per indicare cambiamenti la fila di a nella scelta di parole per descrivere il processo cognitivo, quello limitato del Verstand, per intenderci, produce l'impressione di stabilità: falsches Dasein der PflanzeWahrheit.

Il traduttore nel seguente caso probabilmente non sarebbe d'accordo con tale interpretazione della frase hegeliana come poetica: sceglie senza tanti riguardi il gergo burocratico (“subentrare”) e giornalistico (“per così dire”) e ripete senza motivo le parole “frutto” e “fiore”.


La gemma scompare quando sboccia il fiore, e si potrebbe dire che ne viene confutata; allo stesso modo, quando sorge il frutto, il fiore viene, per così dire, denunciata come una falsa esistenza della pianta, e il frutto subentra al posto del fiore come sua verità”. 

Montag, 3. November 2014

Der Geist geht in sich

Ricordo mio padre, seduto accanto a me, arrivare finalmente alla chiusura della sua predica: “Du solltest einmal in dich gehen!” Cioè? “Dovresti riflettere, in italiano. “Riflettere” si dice anche nachdenken, in sich gehen invece è una metafora composta: il primo elemento è quello del “contenitore io” (ne parla Georges Lakoff in Metaphors we live by), mentre il secondo è “camminare” (gehen). Du solltest in dich gehen: “Dovresti entrare (a piedi) in te”. Per restare nell'immagine: c'è un interno dell'io. Questo dentro è buio, pieno di oggetti non immediatamente identificabili: motivi, pensieri, retropensieri, secondi motivi, desideri … che solo a colui che cautamente si addentra in questo spazio riveleranno la loro natura. In sich gehen: si tratta di un ripiegarsi in se stessi con lo scopo di esplorare un io non trasparente. È un'idea squisitamente pietista: Selbsterforschung.

Quando si cammina in sé, bisogna stare attenti che c'è tanto buio là dentro. L'utilizzo quotidiano dell' in sich gehen è presente in Hegel, quando scrive dello spirito: “in seinem Insichgehen ist er in der Nacht seines Selbstbewusstseins versunken”. Ma come dirlo in italiano? Vincenzo Cicero propone: “Nella sua introiezione, lo spirito è immerso nella notte della sua autocoscienza” (1063). Introiezione?

Viviamo in tempi tristi in cui per farsi comprendere si parla di proiezioni e di complessi, di introiezione e di rimozioni, cioè si utilizzano termini psicologici o psicoanalitici come se spiegassero qualcosa di rilevante. Cicero ad esempio traduce con “rimuovere” il tedesco aufheben. L'idea in sé è buona perché attinente al significato del tollere hegeliano: sia di cancellare sia di conservare, ma come termine specialistico qui forse non è fuori luogo? Dove si fonda tutta la scienza possibile non c'entra la psicologia. Comunque con la proposta di “introiezione” per in sich gehen si va in definitiva oltre il limite. Il cauto camminare dell'autoindagine sarebbe una -iezione? No.


Altre proposte? Enrico de Negri sceglie un verbo tutto suo: “Nel suo insearsi lo spirito è calato nella notte della sua autocoscienza” (304). Che dire? Il verbo “insearsi” non esiste, almeno il Devoto-Oli non lo registra. C'è da dubitare che “inseare” a qualcuno di quattordici anni possa risultare un verbo molto vivo che stimoli l'immaginifico. Non è in sich gehen, “insearsi”. È tanto strano e rende distante la filosofia tedesca. Forse è questa l'unica via percorribile quando si traduce Hegel in italiano.
G. W. F. Hegel: Fenomenologia dello spirito, trad. Enrico de Negri, Firenze (La nuova Italia) 1973.