Ricordo mio padre, seduto accanto a me, arrivare finalmente alla
chiusura della sua predica: “Du solltest einmal in dich gehen!”
Cioè? “Dovresti riflettere”, in italiano. “Riflettere”
si dice anche nachdenken, in sich gehen invece è una metafora
composta: il primo elemento è quello del “contenitore io” (ne
parla Georges Lakoff in Metaphors we live by), mentre il
secondo è “camminare” (gehen). Du solltest in dich
gehen: “Dovresti entrare (a piedi) in te”. Per restare
nell'immagine: c'è un interno dell'io. Questo dentro è buio, pieno
di oggetti non immediatamente identificabili: motivi, pensieri,
retropensieri, secondi motivi, desideri … che solo a colui che
cautamente si addentra in questo spazio riveleranno la loro natura.
In sich gehen: si tratta di un ripiegarsi in se stessi con lo
scopo di esplorare un io non trasparente. È un'idea squisitamente
pietista: Selbsterforschung.
Quando si cammina in sé, bisogna
stare attenti che c'è tanto buio là dentro. L'utilizzo
quotidiano dell' in sich gehen è presente in Hegel, quando
scrive dello spirito: “in seinem Insichgehen
ist er in der Nacht seines Selbstbewusstseins versunken”. Ma come
dirlo in italiano? Vincenzo Cicero propone: “Nella sua
introiezione, lo spirito è immerso nella notte della sua
autocoscienza” (1063). Introiezione?
Viviamo in tempi tristi in cui per farsi comprendere si parla di
proiezioni e di complessi, di introiezione e di rimozioni, cioè si
utilizzano termini psicologici o psicoanalitici come se spiegassero
qualcosa di rilevante. Cicero ad esempio traduce
con “rimuovere” il tedesco aufheben. L'idea in sé è buona perché attinente al significato del tollere
hegeliano: sia di cancellare sia di conservare, ma come termine
specialistico qui forse non è fuori luogo? Dove si fonda tutta la
scienza possibile non c'entra la psicologia. Comunque con la proposta
di “introiezione” per in sich gehen si va in definitiva
oltre il limite. Il cauto camminare dell'autoindagine sarebbe una
-iezione? No.
Altre proposte? Enrico de Negri sceglie un verbo
tutto suo: “Nel suo insearsi lo spirito è calato nella
notte della sua autocoscienza” (304). Che dire? Il verbo “insearsi”
non esiste, almeno il Devoto-Oli non lo registra. C'è da dubitare
che “inseare” a qualcuno di quattordici anni possa risultare un
verbo molto vivo che stimoli l'immaginifico. Non è in sich gehen,
“insearsi”. È tanto strano e rende distante la filosofia
tedesca. Forse è questa l'unica via percorribile quando si traduce
Hegel in italiano.
G.
W. F. Hegel: Fenomenologia dello spirito,
trad. Enrico de Negri, Firenze (La nuova Italia) 1973.
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