Eigentlich. Le traduzioni possibili di questo aggettivo
o avverbio – due classi di parole non ben distinte nel tedesco di
oggi (Schopenhauer ancora insisteva sulla distinzione) – variano da
“autentico”/ “autenticamente” a “vero” e “verace” da
“propriamente” a niente – non sempre si traduce eigentlich
quando è utilizzato come avverbio modale che serve soltanto a dare
un certo tono all'enunciato, cosa a volte difficile da rendere in
italiano, almeno quando si vogliono evitare aggiunte come: 'sai, ti
chiedo questa cosa che avrei dovuto chiederti prima', ad esempio in
Wie heißt du eigentlich?
Adorno ne parla nel suo esilarante saggio Jargon der
Eigentlichkeit. Negli anni venti in Germania tutti cercavano di
essere eigentlich, nessuno sembrava esserne immune. Anche
negli scritti del giovane Benjamin si trova questa parola. Il
berlinese aveva fatto parte del movimento giovanile (Jugendbewegung),
ovvero di quella parte della gioventù cittadina che camminando e
cantando attraversavano i boschi tedeschi. Hinaus ins Freie!
(“Fuori all'aria aperta!” ma letteralmente nella lingua germanica
suona: “fuori nel libero!”). Già il grande Wotan, la
nostra somma divinità, in evidente contrasto con il suo compagno
mediterraneo che faceva vita più comoda, camminava, armato di
bastone, i lunghi capelli al vento. Non dissimilmente, i giovani
jugendbewegt andavano alla ricerca della natura e di forme di
convivenza – appunto-- eigentlich, autentiche.
Quando Heidegger scrive Halten heißt eigentlich hüten, auf dem
Weideland weiden lassen indica
dunque un significato autentico della parola 'halten'. Nella
traduzione qui citata si preferisce un avverbio diverso: “'Tenere'
significa propriamente 'custodire', portare al pascolo sulla terra
prativa”. È comprensibile il desiderio del traduttore di evitare
una parola che un po' ricorderebbe un fumatino del parco: “Cioè,
roba autentica!” Tuttavia, anche in tedesco sull'eigentlich
grava la provenienza da ambienti più o meno alternativi, e questo
proprio ai tempi di Heidegger. Resta poi la palese poeticità
prodotta dalla ripetizione di “weide”: auf dem Weideland
weiden lassen. È vero che in
tedesco non vige una norma contra la ripetizone delle parole come in
italiano. Per quello un testo tedesco riesce a sembrare perfettamente
analitico come l'inizio del Was ist Aufklärung?
di Kant. Nei testi in lingua italiana invece a volte con le parole
anche i concetti sembrano cambiare fino a scivolare via del tutto. Ma
una seguenza “wei-de-la wei-de-la” è notata anche da un orecchio
tedesco. È poetico Heidegger. Cerca di dire le cose con una
variazione minima delle parole, produce allitterazioni e assonanze. È
un po' come se intendesse dire: “è qui, è qui il segreto, nel
linguaggio.” Ma dove? Nell'Eigentlichen!
Halten heißt eigentlich
hüten:
tenere autenticamente significa custodire.
Tale affermazione potrebbe sembrare sorprendente a un madrelingua
tedesco di oggi che non ha davanti agli occhi i pascoli dello
Schwarzwald,
ma ha ragione Heidegger. Nelle lingue germaniche hüten
era il primo significato di halten.
Il dizionario dei Grimm in effetti dà „custodire“ come
traduzione latina1.
Questo verbo tuttavia ha dei parenti molto più antichi, ad esempio
la parola per „tenere imprigionati“ in sanscrito. Volendo, il
simpatico collegamento tra “tenere” e “custodire” potrebbe
quindi trasformarsi nel legame tra “tenere” e “prigione”,
oppure anche, volendo restare nella cerchia delle lingue germaniche,
con “preservare” o “festeggiare”. Heidegger a quanto pare
non ha dubbi quali delle tante strade etimologiche seguire e dove
fermare la ricerca. Infatti non dice “originariamente” che ci
riporterebbe a un fantasma come il protoindoeuropeo, ma eigentlich.
Il nesso che collega due parole della sua lingua lo conosce e
l'identifica lui. Ciò spiega che si possa prendere la libertà di
allontanarsi anche dall'uso comune.
Unsere Sprache nennt z.B. das, was zum Wesen des Freundes gehört,
das Freundliche. In italiano sembra plausibile: “La nostra
lingua chiama, ad esempio, ciò che appartiene all'essenza
dell'amico, das Freundliche, ciò che è amichevole.” Ma in
tedesco freundlich non significa amichevole, bensì cortese;
un freundlicher Verkäufer non è un che ci butta le braccia
al collo, ma uno che sorride mentre cerca di venderci qualcosa,
ovvero uno che ci sembra amico senza esserlo. Pare che alla nostra
lingua poco importi dell'essenza: si attiene alla sembianza.
Heidegger ignora l'uso comune. Parla del Wesen. Basandosi poi
su questa mossa azzardata, propone un'analogia. Dementsprechend
nennen wir jetzt das, was in sich das zu-Bedenkende ist: das
Bedenkliche. “Analogamente chiameremo ora ciò che in sé è da
considerare: das Bedenkliche, il considerevole.” Un
movimento definitorio, giustamente reso con il futuro in italiano,
che segue le leggi della formazione delle parole in tedesco. Bene, ma
bedenklich in tedesco esiste già. Bedenklich chiamiamo
non un pensiero, bensì un comportamento rischioso o una tendenza
problematica, che si tratti di certe usanze sessuali, di abuso di
droghe o dell'inflazione. E allora Heidegger creerebbe una lingua
artificiale? No, perché poi ci gioca con il significato originario
della parola bedenklich: Was ist das Bedenklichste? Wie zeigt es
sich in dieser bedenklichen Zeit? In
traduzione, il gioco si guasta: “Che cos'è il più considerevole?
Come si mostra nella nostra epoca preoccupante (bedenkliche)?”
Il ragionamento di Heidegger inciampa quando si passa dal tedesco
all'italiano. Come interpretare questo effetto? L'uomo dello
Schwarzwald utilizza forse dei giochetti linguistici senza importanza
per adornare il suo discorso e basterebbe eliminarli? Da escludere.
Quando presenta la sua prima tesi essenziale è ovvio che il
significato originario della parola bedenklich
è portante. Das Bedenklichste in unserer bedenklichen Zeit
ist, dass wir noch nicht denken. Nella
traduzione la frase sembra artefatta, priva di evidenza: “Il più
considerevole nella nostra epoca preoccupante è che noi ancora non
pensiamo.” Ma l'evidenza in lingua tedesca risulterebbe dunque
dalla semplice ripetizione di quel denk
che corrisponde all'imperativo del verbo denken?
Denk, denk, denk! O
dalla derivazione del bedenklich
che sarebbe quindi da intendersi come rivelazione del senso
originario, o meglio: del legame sotteraneo che dà Eigentlichkeit
al linguaggio, costituendo un'unità, non visibile nel quotidiano,
tra “problematico”, “preoccupante” e “da pensare”? Il
tedesco di Heidegger sarebbe come innervato di qualcosa che
classicamente potremmo chiamare essenza. Tali legami misteriosi tra
pezzi di parole, suffissi, prefissi, paradigmi non potrebbero essere
portati in un'altra lingua. Dovrebbero essere ri-trovati,
re-inventati in essa. Auguri.
1http://woerterbuchnetz.de/DWB/?sigle=DWB&mode=Vernetzung&lemid=GH01602