Montag, 22. April 2013

Il tedesco di Heidegger – Was heißt Denken? (3)



Eigentlich. Le traduzioni possibili di questo aggettivo o avverbio – due classi di parole non ben distinte nel tedesco di oggi (Schopenhauer ancora insisteva sulla distinzione) – variano da “autentico”/ “autenticamente” a “vero” e “verace” da “propriamente” a niente – non sempre si traduce eigentlich quando è utilizzato come avverbio modale che serve soltanto a dare un certo tono all'enunciato, cosa a volte difficile da rendere in italiano, almeno quando si vogliono evitare aggiunte come: 'sai, ti chiedo questa cosa che avrei dovuto chiederti prima', ad esempio in Wie heißt du eigentlich?

Adorno ne parla nel suo esilarante saggio Jargon der Eigentlichkeit. Negli anni venti in Germania tutti cercavano di essere eigentlich, nessuno sembrava esserne immune. Anche negli scritti del giovane Benjamin si trova questa parola. Il berlinese aveva fatto parte del movimento giovanile (Jugendbewegung), ovvero di quella parte della gioventù cittadina che camminando e cantando attraversavano i boschi tedeschi. Hinaus ins Freie! (“Fuori all'aria aperta!” ma letteralmente nella lingua germanica suona: “fuori nel libero!”). Già il grande Wotan, la nostra somma divinità, in evidente contrasto con il suo compagno mediterraneo che faceva vita più comoda, camminava, armato di bastone, i lunghi capelli al vento. Non dissimilmente, i giovani jugendbewegt andavano alla ricerca della natura e di forme di convivenza – appunto-- eigentlich, autentiche.

Quando Heidegger scrive Halten heißt eigentlich hüten, auf dem Weideland weiden lassen indica dunque un significato autentico della parola 'halten'. Nella traduzione qui citata si preferisce un avverbio diverso: “'Tenere' significa propriamente 'custodire', portare al pascolo sulla terra prativa”. È comprensibile il desiderio del traduttore di evitare una parola che un po' ricorderebbe un fumatino del parco: “Cioè, roba autentica!” Tuttavia, anche in tedesco sull'eigentlich grava la provenienza da ambienti più o meno alternativi, e questo proprio ai tempi di Heidegger. Resta poi la palese poeticità prodotta dalla ripetizione di “weide”: auf dem Weideland weiden lassen. È vero che in tedesco non vige una norma contra la ripetizone delle parole come in italiano. Per quello un testo tedesco riesce a sembrare perfettamente analitico come l'inizio del Was ist Aufklärung? di Kant. Nei testi in lingua italiana invece a volte con le parole anche i concetti sembrano cambiare fino a scivolare via del tutto. Ma una seguenza “wei-de-la wei-de-la” è notata anche da un orecchio tedesco. È poetico Heidegger. Cerca di dire le cose con una variazione minima delle parole, produce allitterazioni e assonanze. È un po' come se intendesse dire: “è qui, è qui il segreto, nel linguaggio.” Ma dove? Nell'Eigentlichen!

Halten heißt eigentlich hüten: tenere autenticamente significa custodire. Tale affermazione potrebbe sembrare sorprendente a un madrelingua tedesco di oggi che non ha davanti agli occhi i pascoli dello Schwarzwald, ma ha ragione Heidegger. Nelle lingue germaniche hüten era il primo significato di halten. Il dizionario dei Grimm in effetti dà „custodire“ come traduzione latina1. Questo verbo tuttavia ha dei parenti molto più antichi, ad esempio la parola per „tenere imprigionati“ in sanscrito. Volendo, il simpatico collegamento tra “tenere” e “custodire” potrebbe quindi trasformarsi nel legame tra “tenere” e “prigione”, oppure anche, volendo restare nella cerchia delle lingue germaniche, con “preservare” o “festeggiare”. Heidegger a quanto pare non ha dubbi quali delle tante strade etimologiche seguire e dove fermare la ricerca. Infatti non dice “originariamente” che ci riporterebbe a un fantasma come il protoindoeuropeo, ma eigentlich. Il nesso che collega due parole della sua lingua lo conosce e l'identifica lui. Ciò spiega che si possa prendere la libertà di allontanarsi anche dall'uso comune.

Unsere Sprache nennt z.B. das, was zum Wesen des Freundes gehört, das Freundliche. In italiano sembra plausibile: “La nostra lingua chiama, ad esempio, ciò che appartiene all'essenza dell'amico, das Freundliche, ciò che è amichevole.” Ma in tedesco freundlich non significa amichevole, bensì cortese; un freundlicher Verkäufer non è un che ci butta le braccia al collo, ma uno che sorride mentre cerca di venderci qualcosa, ovvero uno che ci sembra amico senza esserlo. Pare che alla nostra lingua poco importi dell'essenza: si attiene alla sembianza. Heidegger ignora l'uso comune. Parla del Wesen. Basandosi poi su questa mossa azzardata, propone un'analogia. Dementsprechend nennen wir jetzt das, was in sich das zu-Bedenkende ist: das Bedenkliche. “Analogamente chiameremo ora ciò che in sé è da considerare: das Bedenkliche, il considerevole.” Un movimento definitorio, giustamente reso con il futuro in italiano, che segue le leggi della formazione delle parole in tedesco. Bene, ma bedenklich in tedesco esiste già. Bedenklich chiamiamo non un pensiero, bensì un comportamento rischioso o una tendenza problematica, che si tratti di certe usanze sessuali, di abuso di droghe o dell'inflazione. E allora Heidegger creerebbe una lingua artificiale? No, perché poi ci gioca con il significato originario della parola bedenklich: Was ist das Bedenklichste? Wie zeigt es sich in dieser bedenklichen Zeit? In traduzione, il gioco si guasta: “Che cos'è il più considerevole? Come si mostra nella nostra epoca preoccupante (bedenkliche)?” Il ragionamento di Heidegger inciampa quando si passa dal tedesco all'italiano. Come interpretare questo effetto? L'uomo dello Schwarzwald utilizza forse dei giochetti linguistici senza importanza per adornare il suo discorso e basterebbe eliminarli? Da escludere. Quando presenta la sua prima tesi essenziale è ovvio che il significato originario della parola bedenklich è portante. Das Bedenklichste in unserer bedenklichen Zeit ist, dass wir noch nicht denken. Nella traduzione la frase sembra artefatta, priva di evidenza: “Il più considerevole nella nostra epoca preoccupante è che noi ancora non pensiamo.” Ma l'evidenza in lingua tedesca risulterebbe dunque dalla semplice ripetizione di quel denk che corrisponde all'imperativo del verbo denken? Denk, denk, denk! O dalla derivazione del bedenklich che sarebbe quindi da intendersi come rivelazione del senso originario, o meglio: del legame sotteraneo che dà Eigentlichkeit al linguaggio, costituendo un'unità, non visibile nel quotidiano, tra “problematico”, “preoccupante” e “da pensare”? Il tedesco di Heidegger sarebbe come innervato di qualcosa che classicamente potremmo chiamare essenza. Tali legami misteriosi tra pezzi di parole, suffissi, prefissi, paradigmi non potrebbero essere portati in un'altra lingua. Dovrebbero essere ri-trovati, re-inventati in essa. Auguri.

1http://woerterbuchnetz.de/DWB/?sigle=DWB&mode=Vernetzung&lemid=GH01602

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