(1) Il
celebre saggio inizia con una frase piuttosto strana:
In das,
was Denken heißt, gelangen wir, wenn wir selber denken.
Nella
traduzione italiana invece non si vede nulla di particolare.
“Arriviamo
a capire che cosa significa pensare quando noi stessi pensiamo.”1
Comprensibilmente
il traduttore ha cercato di non far inciampare il lettore nella prima
frase. Tradotta alla lettera, si leggerebbe:
“In ciò
che si chiama pensare giungiamo se/quando noi stessi pensiamo.”
Tralasciando
l'ambiguità del wenn (”se”/”quando”) – di per sé
non priva d'importanza, potrebbe essere simile al “se solo
pensassimo” di kantiana memoria, ma una tale nota liberatoria è
estranea a un pensatore del XX secolo –, resta la perplessità di
fronte al verbo gelangen / ”giungere”. Messo così, sembra
si parli di una zona remota, magari recintata, quella del Denken
.. un pensare vero, si aggiungerebbe, perché poi: stiamo già
pensando, ma qualche cosa manca. Tuttavia il Denken non
è una zona, oppure sì? – Pensare, vero o inautentico che sia, in
ogni caso è un'attività.
Il verbo
gelangen è piuttosto ricercato2.
Qui probabilmente Heidegger desidera rendere l'idea che sia
difficoltosa la via, forse vuole evitare anche la vicinanza
all'espressione ins Denken kommen che significa: “cominciare
a pensare” – e in questa accezione dissolverebbe la frase.
Resta il
fatto che non si parla di “capire”. Heidegger non promette nulla
del genere. Invece il traduttore glielo fa fare. Sa che le prime
frasi di un testo devono portare il lettore ad andare avanti, e la
promessa “capiremo” svolge tale funzione. Qual è invece la
promessa di Heidegger stesso? Giungeremo in ciò che si chiama
pensare. Penseremo per davvero.
(2) La
frase seguente pone pochi problemi:
Damit
ein solcher Versuch glückt, müssen wir bereit sein, das Denken zu
lernen.
“Perché
un tale tentativo riesca, dobbiamo essere preparati a imparare a
pensare.”
Sarebbe
impresa ardua rendere il verbo “glücken” in italiano; si
potrebbe provare con “abbia un esito felice”. Perché glücken
è un derivato di Glück: “felicità”/ “fortuna”,
mentre il semplice “riuscire” sarebbe “gelingen”. Seconda
nota: bereit sein è semplicemente “essere pronti” – e
per una malefica tendenza dei traduttori in italiano un'espressione
così bassa non si vedrà mai inserita in un testo di filosofia. Il
risultato è che sembra trattarsi di
esercizi scolastici. “Siete preparati?” Non è questo il senso.
Heidegger parla soltanto di una disposizione. “Dobbiamo essere
disposti”, ecco.
(3) “Non
appena ci impegnamo in questo imparare, abbiamo già anche confessato
che non siamo capaci di pensare.”
Sobald
wir uns auf dieses Denken einlassen, haben wir auch schon
zugestanden, dass wir das Denken noch nicht vermögen.
Furfante.
Fa tutto lui. Noi, ovvero noi che stiamo ancora al di fuori dal
testo, non siamo il suo soggetto, non abbiamo ammesso (zugestanden)
niente. L'autore sta solo esplicitando le implicazioni della sua
prima frase.
Con la
scelta dell'“impegnarsi” forse siamo di nuovo un po' troppo
vicini ai rimproveri di un professore al liceo. Sich einlassen auf
significa spesso “impegolarsi”, in generale “cominciare
un'attivittà accettandone le regole”; sich auf Kompromisse
einlassen “scendere a compromessi”.
(4) - (6)
Segue una ripresa discutibile. Heidegger tira in ballo il modo antico
di distinguere l'uomo dall'animale attribuendo solo al primo la
ragione. Der Mensch [...] ist das vernünftige Lebewesen. Ma è
necessario esporsi in questo modo a critiche?
(7)
“L'uomo deve essere in grado di pensare se solo lo vuole. Tuttavia,
può darsi che l'uomo voglia pensare, ma non ne sia in grado.”
Indes will der Mensch vielleicht denken und kann es nicht.
Questo indes quindi significherebbe “tuttavia”? Sì. È un
sinonimo piuttosto ricercato di allerdings3.
Di regola non introduce una frase4.
Si distinguono tuttavia due accezioni di indes(en): questo
avverbio può aver significato temporale o avversativo –
quest'ultimo tuttavia il dizionario dei Grimm5
lo dà come “verblasst”: “sbiadito”. E se Heidegger avesse
scelto appositamente questo indes del doppio senso? “Nel
mentre / per ora / tuttavia l'uomo vuole forse pensare e non può.”
Tra l'altro, tranne “indes”, le parole della frase sono tanto
elementari da far sembrare già troppo elegante la resa con “può
darsi che”. Tale elementarismo avvicina lo stile d Heidegger a
tratti a quello di Robert Walser, ma questo è un altro tema.
Tre volte
Heidegger sceglie delle parole inconsuete: gelangen in,
vermögen, indes. Forse ogni volta ha dei motivi per
farlo? Ciò che si palesa in ogni caso è una certa ricercatezza nel
lessico.
Sarebbe un pregio per un pensatore utilizzare parole raffinate e non
molto comuni? Oppure un motivo di rimprovero? Sicuro è che con una
tale tendenza un filosofo di lingua tedesca si allontana da una
tradizione che da Hegel a Nietzsche predilige un lessico quotidiano.
“Dolce inganno!” si obietterà, perché la dialettica della
coscienza in realtà non si apre a tutti, sebbene parli del “qui”
e dell'”ora”. Tuttavia, l'idea che la parola filosofica sia
almeno in principio rivolta a chiunque abbia voglia di riflettere è
molto antica, forse congenita a ciò che chiamiamo filosofia in
opposizione alle dottrine segrete di sacerdotesse,
mistici e pensatori gnostici – altre persone che hanno
seguito dei percorsi molto particolari.
Alcuni
accorgimenti di pronuncia potrebbero servire a evitare malintesi.
(1) Le
parole tedesche vengono pronunciate con un certo distacco tra di
loro. Così, volendo dire “m chiamo”, all'”Ich” prima di
“heiße” si faccia seguire un respiro (conviene anche per
l'aspirazione “h”); altrimenti ciò che un tedesco comprende è
“ich scheiße” (“io cago”).
(2) “Ch”
è pronunciata come una “k” soltanto quando seguita da una “s”,
cosa rara che troviamo giusto in “wechseln” (”cambiare”) e in
poche altre parole. Atrimenti, quando segue le vocali “a”, “o”
e “u” (quelle posteriori) è un “ch” gutturale (trascrizione
fonetica [x]) che ricorda un drago raffreddato; quando è preceduta
da “i”, “e” o “eu” (oi) si fa simile a una fuga di gas
(fon.: [ç]). Per un bel passaggio da [ç] a [x] è sufficiente
ascoltare la caffettiera quand il liquido sale.
Detto ciò,
consiglio di pronunciare il nome “Fichte” nel modo indicato. Il
tanto amato “Fikkte” per un ascoltatore di lingua tedesca sembra
“fickte”, forma del passato di “ficken”, “scopare” (non
per terra).
(3) Nelle
lingue germaniche è in genere la prima sillaba della parola a
portare un accento principale tanto dominante che le sillabi seguenti
sembrano svanire nel nulla. Quindi uno che pronuncia “Schópenhauer”
il tedesco forse lo sa e chi dice “Schopenháuér” sicuramente
no.
1 Martin
Heidegger: Che cosa significa pensare? Trad. di Ugo Ugazio e Gianni
Vattimo, Varese (Sugarco Edizioni) 1996. Non intendo criticare i
traduttori.
2 È
utlizzato 24 volte meno del sinonimo “kommen”.
http://wortschatz.uni-leipzig.de/
(10/04/2013)
3 Appartiene
alla classe 9 delle parole tedesche; significa che è 2**9 volte più
rara della parola più utilizzata in tedesco, ovvero “der”.
Allerdings è della classe 6, quidi sarebbe 8 volte più
probabile. http://dwb.uni-trier.de/de/
(15/04/2013). Anche il Dizionario tedesco italiano, italiano
tedesco, a cura di Luisa Giacoma e Susanne Kolb, Bologna
(Zanichelli/ Pons-Klett), 2009 dà come “gehoben” ('elevato')
la parola.
4 In
nessuno die 31 esempi d'uso forniti da „Wortschatz Universität
Leipzig“ „indes“ sta all'inizio di una frase
http://dwb.uni-trier.de/de/
(15/04/2013)
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